Colpo di scena nella storia di "colpo" - La storia del giovane Opro e del suo maestro Colafo - STEP #2


Se hai letto il post precedente, saprai che il termine "colpo" trova le sue origini nel termine latino "colaphus", il quale a sua volta discende dal greco "kolaphos". Quello che mi accingo a raccontare è un breve racconto, da cui mi piace dire sia stato coniato il suddetto termine. La storia è liberamente tratta dalla commedia di Epicarmo "Il Rustico" di cui restano solo frammenti disparati. Al commediografo è infatti attribuita la figura di Colafo, che compare nel testo, oltre alla presenza di un padre e di un figlio provenienti dal mondo agreste. I restanti elementi della trama sono solo frutto della fantasia.


Siracusa, V secolo a.C. In una campagna siracusana, locus amoenus in cui regnavano la pace e la tranquillità, il cui verde era trafficato dai pascoli di greggi di pecore e di bovini; dove gli adulti portavano avanti con cura e dedizioni i propri terreni, e quelli in tenera età si divertivano.
Era un posto ai limiti del surreale in cui la vita si rinnovava di generazione in generazione senza che nessuno si facesse alcune domande. I genitori tramandavano ai propri figli il culto per le divinità del raccolto insieme alle tecniche lavorative. Lì si viveva felici, puri, e incontaminati dai vizi e dal caos delle città.

Proprio in questa rustica realtà vivevano Opro e suo padre Villico. Entrambi avevano subìto la perdita della rispettiva madre e moglie, venuta a mancare nel momento in cui dava alla luce il piccolo Opro. Nonostante la tragica perdita, il ragazzo era venuto su nel migliore dei modi. Aveva ereditato in pieno i valori che il genitore gli aveva inculcato: l'operosità, l'amore per il luogo in cui viveva e per il lavoro che svolgeva,  l'onestà verso il prossimo. Insomma, Opro era davvero un ragazzo esemplare.
Anche Villico era eternamente grato agli dei per il figlio d'oro che gli avevano regalato.

Ma nonostante la gigante dedizione che Opro metteva nell'aiutarlo, la sua prontezza nell'obbedirgli e il suo grande cuore, l'uomo pensava che al suo pargolo mancasse qualcosa per migliorare la persona che era: una cultura. Insomma, Opro era già perfetto, ma egli credeva che restare chiuso nella quotidianità del mondo campagnola per sempre alla fine gli avrebbe nuociuto. Spesso gli giungevano  
notizie di grandi persone amate e rispettate dal popolo. Voleva dunque che la buona volontà del figlio potesse essere applicate in qualche campo in modo tale da farlo diventare "un grande". E' per questo che Villico fece trasferire il figlio in città dove fu affidato alla prima persona che egli ritenne idonea, il maestro Colafo. Villico non sapeva nulla di lui, ma per quanto maestro non poteva fare altro che migliorarlo.

 La verità, era un'altra: Villico era ignaro del fatto che Colafo fosse conosciuto per essere un maestro aggressivo che non esitava ad usare le mani; il suo fare manesco era abbastanza noto in città.  Più che un educatore, sarebbe più corretto definirlo un domatore o aizzatore. Puntava a far in modo che nella sua scuola non si formassero ragazzi che egli definiva "banali" o "burattini", ovvero imbevuti di quell' etica falsa, ipocrita e meschina come lui la definiva: voleva dare vita ad una generazione di ragazzi rivoltosi pronta a dar fuoco al mondo preesistente e portare in auge valori animaleschi, bellici, crudi. Ogni volta che un ragazzo non era conforme al modello che egli aveva in testa, veniva prontamente colpito alla testa, perché  era lì che doveva avvenire la svolta psicologica: tutta una questione di testa. Dopo un anno di lavaggio di cervello, arrivò il fatidico momento in cui Opro rivide suo padre: inutile dire che Villico non ci mise più di qualche secondo per capire che il suo primogenito non era più la stessa persona, era piuttosto diventato un mostro.


 I litigi nella loro umile dimora abbondavano, due mentalità diverse si torturavano a vicenda in un continuo battibecco. Villico prese ben presto una ferma decisione : vietò al figlio di frequentare Colafo. Pensò inoltre che farlo tornare a lavorare duramente avrebbe ripristinato il buon vecchio Opro. In un primo momento sembrò  andar tutto bene, finché Opro, impegnato nel lavoro, risentì in mente tutte le parole, e risentì sulle ossa il dolore dei colpi del suo maestro. A quanto pare gli erano rimaste ben impressi. "Nessuno scrupolo","Abbatti il sistema","Ribellati" tuonavano nella mente del ragazzo. Così Opro, in un raptus di follia, colpì a morte il padre. In quel momento si sentì come sollevato da un macigno. Ritornò immediatamente dal suo mentore.


Quelle che in un primo momento sembravano solo lezioni di vita, divennero azioni. La classe di Colafo divenne un'associazione a delinquere. I ragazzi agivano di nascosto colpendo gli abitanti della città, diventando l'incubo dei siracusani. Essi sentivano nei propri cuori di agire secondo nobili ideali, inconsapevoli del male che creavano. Il tutto si portò avanti finché si scoprì che alla base dell'atteggiamento rivoltoso dei ragazzi vi era Colafo, che fu condannato a morte. Il colpo alla testa con cui Colafo educava gli studenti, che si tramutò poi nell'azione criminale della banda rimase sulla bocca dei siracusani tanto da definire il pugno o schiaffo "kolaphos"(Colafo). Il termine si diffuse in Europa e, amalgamato ad altre influenze, è passato a noi in eredità come "colpo".


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